Per oltre sessant’anni, i fratelli Lidia e Romano Levi, continuando la tradizione dei loro antenati, hanno prodotto una Grappa unica, a tutti nota come “La Grappa della Donna Selvatica”. Non è solo un distillato di vinacce, ma anche l’arte espressa da Lidia nelle composizioni di erbe immerse nelle bottiglie o da Romano nelle etichette poetiche, disegnate a mano; per queste opere è stata addirittura identificata una vera e propria corrente artistica battezzata: arte-selvatica.
Tutti conoscono queste bottiglie di Grappa, tantissimi collezionisti le conservano gelosamente, i ristoranti italiani più famosi nel mondo orgogliosamente le mostrano come simbolo dell’enogastronomia nazionale, un Museo è a loro dedicato, altri musei e gallerie le espongono come piccoli capolavori; pochissimi hanno il coraggio di aprirle e berne il contenuto, ma è solo gustandola che la magia si compie.
Lo studio e la realizzazione di una “casa” destinata ad ospitare la “Donna Selvatica” di Langa trae origine dall’analisi del patrimonio immateriale antropologico del territorio delle Langhe. Nell’immaginario collettivo (e nella realtà, almeno fino a qualche decennio addietro) la figura della “Donna Selvatica” è sempre stata forte e presente: una donna difficilmente inquadrabile nelle convenzioni sociali dominanti, per nulla attenta alle apparenze e restia al conformismo imperante nelle campagne; una donna indipendente, fiera, autonoma e in grado di badare a se stessa e, il più delle volte, agli altri; una donna, quindi, archetipo delle difficoltà e delle gioie, degli stenti materiali e delle ricchezze spirituali della vita contadina immutata nei secoli.